“…Natura è quel che sappiamo – ma non abbiamo l’arte di dire – tanto impotente è la nostra sapienza a confronto della sua semplicità”, scriveva Emily Dickinson, sottolineando la difficoltà che l’uomo incontra nel misurarsi con la realtà. Apparentemente essa è materia facile da trattare, in fondo non è altro che ciò che ogni giorno ci passa sotto gli occhi, eppure nel corso della storia dell’arte è stata più volte oggetto di accanimenti e discussioni circa la sua effettuabile riproduzione.
Il religioso intento di rendere fedelmente la realtà fu caro ad un illustre spagnolo vissuto quattro secoli fa, Diego Velázquez, come al grande artista figurativo Antonio López García, che cinquan’anni fa sperimentava l’iperrealismo, spesso oltraggiato dagli ostinati sostenitori delle nuove tendenze.
La galleria 44, a pochi mesi dalla sua nascita, continua la sua missione nel promuovere la pittura figurativa con una collettiva che riunisce alcuni dei talenti della Fondazione Arte e Autori Contemporanei di Chinchón uniti da una comune aspirazione: fare della realtà oggetto di ricerca artistica.
L’accademia di Chinchón, a pochi chilometri da Madrid, non è solo un luogo deputato all’acquisizione di conoscenze e tecniche artistiche, ma è una vera fucina di pensiero, per così dire un cantiere intellettuale, dove il confronto e la riflessione rendono possibili l’esperienza pittorica come ultimo stadio di riflessione. Mentore della scuola è Gillermo Muñoz Vera, seguace di López García e grande sostenitore del realismo contemporaneo.
Alejandro Decinti (1973, Santiago del Cile) nel suo grande quadro Full metal racket rende il film proiettato sul suo schermo punto nodale dell’intera scena, in cui si stagliano in primo piano delle gambe, che chiarificano l’azione.
Daniel Aguirre Aceval (DAO) (1973, Santiago del Cile) rende protagonisti del suo El último cielo un personal computer e un cestino della spazzatura attiguo, topoi moderni dell’arredo casalingo, e, sempre lui, non si astiene dal raffigurare la crudele sorte di una rondine morta tra i rifiuti e la polvere di un freddo pavimento.
Jorge Izquierdo (1978, Lima) fissa un gioco di repentini sguardi e gesti che si consumano durante un’amichevole partita a carte, rendendo la scena così vitale da permettere facilmente l’immedesimazione nella piece.